domenica 28 ottobre 2012

IL VOTO CATALANO, LA CRISI E IL RISCHIO DI IMPLOSIONE PER LA SPAGNA

da corriere della sera.it

Barcellona in piazza l'11 settembre 2012 (Reuters/Nacarino)
Il vento dell'indipendenza spira forte a Barcellona. L'11 settembre 2012, mentre il mondo era intento a ricordare quanto avvenne undici anni fa a New York, nella città dove riposano le spoglie di Gaudì oltre un milione di persone si sono risvegliate orgogliosamente catalane e sono scese in placa Catalunya per farlo sapere a Madrid. Come dire quasi il 15% della popolazione di tutta la comunità autonoma, neonati e anziani compresi. In realtà prima di esplodere così clamorosamente nel giorno della Diada, la festa nazionale della Catalogna, il fuoco dell'indipendentismo ha covato per mesi sotto la cenere. La causa separatista, storicamente sostenuta dal partito di sinistra della Esquerra Republicana de Catalunya, non è mai andata oltre il 30% dei consensi, ma oggi ha conquistato la maggioranza dei cuori catalani. Un desiderio che, il 25 novembre, potrebbe tradursi in voto nelle elezioni che il presidente Artur Mas ha convocato anticipatamente dopo il no del governo spagnolo all'ipotesi del nuovo patto fiscale avanzata dal parlamento di Barcellona che, per tutta risposta, il 27 settembre ha sfidato apertamente Madrid votando con 83 sì su 135 una risoluzione non vincolante sulla possibilità di organizzare un referendum sull'indipendenza.  
FINANZIAMENTI REGIONALI - Quello economico è uno dei terreni di scontro con il governo nazionale. Il sistema di finanziamento spagnolo, infatti, prevede un meccanismo di ridistribuzione che penalizza le regioni più floride a vantaggio di quelle più depresse tanto che, dopo i trasferimenti statali, succede che queste ultime hanno spesso più risorse delle prime. In questo modo la Catalogna, considerata uno dei quattro motori d'Europa insieme a Baden-Württemberg Lombardia e Rodano-Alpi, si ritrova ad essere più povera di molte altre realtà spagnole.
 
UN QUINTO DEL PIL - Ogni anno Barcellona, che garantisce da sola quasi il 20% del prodotto interno lordo nazionale, vede partire sulla via di Madrid il 24% della propria ricchezza e ritornare solo il 10%.


Un altro momento della manifestazione (Afp/Gene)
STRANGOLATI - Le cose sono andate più o meno bene fino a che la crisi non ha alleggerito anche i portafogli dei catalani. La disoccupazione che avanza (anche se in Catalogna rimane di svariati punti percentuali sotto la media nazionale), il no della corte costituzionale al nuovo statuto catalano (già approvato con un referendum dopo ventotto anni di trattative con Madrid) e soprattutto i tanti tagli previsti dal nuovo piano di austerità deciso dal governo nazionale hanno spinto i catalani a scendere in piazza come mai avevano fatto nella loro storia. La manifestazione dell'11 settembre e il no del galiziano Mariano Rajoy al nuovo patto fiscale hanno fatto il resto. L'Assemblea Nacional Catalana, associazione indipendentista trasversale guidata dalla battagliera Carme Forcadell, è nata a marzo del 2012 e in pochi mesi ha raccolto novemila iscritti. La Catalogna si sente strangolata da Madrid. I nuovi tagli del governo centrale, che vorrebbe portare il deficit annuale della regione dall'attuale 4% del Pil all'1,5% (quando nel resto della Spagna è al 7,4%), pesano su tutti i catalani: i dipendenti pubblici si sono visti tagliare gli stipendi, gli investimenti sono stati congelati ed è stata introdotta una tassa, particolarmente invisa, di un euro su ogni ricetta medica. Barcellona non ci sta e vorrebbe essere la capitale del ventottesimo stato europeo.

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