da corriere della sera.it
Il vento dell'indipendenza spira forte a Barcellona. L'11
settembre 2012, mentre il mondo era intento a ricordare quanto avvenne
undici anni fa a New York, nella città dove riposano le spoglie di Gaudì
oltre un milione di persone si sono risvegliate orgogliosamente
catalane e sono scese in placa Catalunya per farlo sapere a Madrid. Come
dire quasi il 15% della popolazione di tutta la comunità autonoma,
neonati e anziani compresi. In realtà prima di esplodere così
clamorosamente nel giorno della Diada, la festa nazionale della
Catalogna, il fuoco dell'indipendentismo ha covato per mesi sotto la
cenere. La causa separatista, storicamente sostenuta dal partito di
sinistra della Esquerra Republicana de Catalunya, non è mai andata oltre
il 30% dei consensi, ma oggi ha conquistato la maggioranza dei cuori
catalani. Un desiderio che, il 25 novembre, potrebbe tradursi in voto
nelle elezioni che il presidente Artur Mas ha convocato anticipatamente
dopo il no del governo spagnolo all'ipotesi del nuovo patto fiscale
avanzata dal parlamento di Barcellona che, per tutta risposta, il 27
settembre ha sfidato apertamente Madrid votando con 83 sì su 135 una
risoluzione non vincolante sulla possibilità di organizzare un
referendum sull'indipendenza.
FINANZIAMENTI REGIONALI - Quello economico è uno dei terreni di
scontro con il governo nazionale. Il sistema di finanziamento spagnolo,
infatti, prevede un meccanismo di ridistribuzione che penalizza le
regioni più floride a vantaggio di quelle più depresse tanto che, dopo i
trasferimenti statali, succede che queste ultime hanno spesso più
risorse delle prime. In questo modo la Catalogna, considerata uno dei
quattro motori d'Europa insieme a Baden-Württemberg Lombardia e
Rodano-Alpi, si ritrova ad essere più povera di molte altre realtà
spagnole.
UN QUINTO DEL PIL - Ogni anno Barcellona, che garantisce da sola
quasi il 20% del prodotto interno lordo nazionale, vede partire sulla
via di Madrid il 24% della propria ricchezza e ritornare solo il 10%.
STRANGOLATI - Le cose sono andate più o meno bene fino a
che la crisi non ha alleggerito anche i portafogli dei catalani. La
disoccupazione che avanza (anche se in Catalogna rimane di svariati
punti percentuali sotto la media nazionale), il no della corte
costituzionale al nuovo statuto catalano (già approvato con un
referendum dopo ventotto anni di trattative con Madrid) e soprattutto i
tanti tagli previsti dal nuovo piano di austerità deciso dal governo
nazionale hanno spinto i catalani a scendere in piazza come mai avevano
fatto nella loro storia. La manifestazione dell'11 settembre e il no del
galiziano Mariano Rajoy al nuovo patto fiscale hanno fatto il resto.
L'Assemblea Nacional Catalana, associazione indipendentista trasversale
guidata dalla battagliera Carme Forcadell, è nata a marzo del 2012 e in
pochi mesi ha raccolto novemila iscritti. La Catalogna si sente
strangolata da Madrid. I nuovi tagli del governo centrale, che vorrebbe
portare il deficit annuale della regione dall'attuale 4% del Pil
all'1,5% (quando nel resto della Spagna è al 7,4%), pesano su tutti i
catalani: i dipendenti pubblici si sono visti tagliare gli stipendi, gli
investimenti sono stati congelati ed è stata introdotta una tassa,
particolarmente invisa, di un euro su ogni ricetta medica. Barcellona
non ci sta e vorrebbe essere la capitale del ventottesimo stato europeo.
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